Loading...

Gestione illecita di rifiuti: l’ente è esente da responsabilità se non è provato l’effettivo interesse

Home - News - Novità - Gestione illecita di rifiuti: l’ente è esente da responsabilità se non è provato l’effettivo interesse

Gestione illecita di rifiuti: l’ente è esente da responsabilità se non è provato l’effettivo interesse

   

01 gennaio 2023

Gestione illecita rifiuti
I diritti delle immagini appartengono ai rispettivi proprietari (che saremo lieti di indicare in caso di richiesta).

In materia di gestione dei rifiuti l’appaltatore riveste generalmente la qualità di produttore del rifiuto e su di lui gravano, pertanto, gli obblighi di corretto smaltimento, salvi i casi in cui, per ingerenza o controllo diretto del committente sull’attività dell’appaltatore, i relativi doveri si estendono anche a tale soggetto. Così la Corte di Cassazione, Sez. III pen., nella sentenza n. 34397, depositata il 19 settembre 2022, ha annullato con rinvio la condanna di una società per il deposito illecito di rifiuti (art. 25-undecies del D. Lgs. n. 231/2001).

Il fatto. La vicenda oggetto della decisione coinvolgeva i legali rappresentanti di due imprese, una s.n.c. e una s.r.l., rispettivamente committente e appaltatrice per il trasporto, lo stoccaggio e il trattamento definitivo di alcuni scarti di lavorazioni edili, tra cui lana di roccia, materiali ferrosi, plastici, ecc. La questione atteneva al conferimento e deposito di rifiuti – nella prospettiva difensiva, meramente temporaneo e con natura di “messa in riserva” di materiale altrimenti riutilizzabile nel circuito economico – da parte del produttore ad altra azienda di fiducia.

La contestazione ai sensi dell’art. 256, comma 1, lett. a), D. Lgs. n. 152/2006 era incentrata sulla condotta dell’appaltatore, accusato di aver costituito presso la sede della s.r.l. una discarica abusiva contenente i rifiuti conferiti dal committente, anziché limitarsi a trasportarli e avviarli al recupero e/o allo smaltimento ai sensi di legge.

Con sentenza del 17 luglio 2020 il Tribunale di Rimini condannava le due società, i loro titolari e amministratori alla pena pecuniaria prevista per l’illecito amministrativo di cui all’art. 25-undecies, comma 2 lett. b-1), D. Lgs. n. 8 giugno 2001, n. 231. Avverso la decisione gli imputati esperivano ricorso per cassazione.

La s.r.l. ricorrente contestava l’esistenza di un autonomo profilo di responsabilità amministrativa dell’ente, atteso che la sentenza impugnata si era limitata a far derivare detta responsabilità da quella degli imputati, senza individuare – in esito a un giudizio autonomo – un interesse o vantaggio di sorta per il medesimo ente.

La s.n.c. eccepiva, invece, anzitutto la nullità degli atti processuali a partire dal momento in cui il legale rappresentante dell’ente, imputato nel giudizio, aveva provveduto a nominare un nuovo difensore di fiducia, in luogo del precedente che aveva rinunciato al mandato. Quanto al vizio di motivazione, veniva sollevato che nulla era stato osservato in relazione al vantaggio e all’interesse ipoteticamente perseguiti e ottenuti dalla società, né vi era stata alcuna motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio applicato, mentre la società aveva invece posto in essere un adeguato sistema cautelare idoneo alla prevenzione dei reati.

La Corte di Cassazione. La Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi sul caso, contestualizza anzitutto la figura dell’appaltatore:

«(…) va invero ricordato che, in tema di gestione dei rifiuti, l’appaltatore, per la natura del rapporto contrattuale che lo vincola al compimento di un’opera o alla prestazione di un servizio, con organizzazione dei mezzi necessari e gestione a proprio rischio dell’intera attività, riveste generalmente la qualità di produttore del rifiuto e su di lui gravano gli obblighi di corretto smaltimento, salvi i casi in cui, per ingerenza o controllo diretto del committente sull’attività dell’appaltatore, i relativi doveri si estendono anche a tale soggetto (sez. 3, n. 11029 del 05/02/2015, D’Andrea e altro, Rv. 263754)».

Relativamente all’accertamento della responsabilità della persona giuridica, invece, viene ribadito il percorso argomentativo già seguito nella sentenza n. 38363/20181: rilevante è il tema dell’autonomia rispetto alla responsabilità penale della persona fisica che ha commesso il reato presupposto. Tale autonomia, prevista dall’art. 8 del Lgs. n. 231/2001, secondo la giurisprudenza deve essere intesa nel senso che, per poter configurare la responsabilità dell’ente, non è necessario il definitivo e completo accertamento della responsabilità penale individuale, ma è sufficiente un mero accertamento incidentale, previa sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi di cui agli artt. 5, 6, 7 e 8 del D. Lgs. n. 231/2001:

«(…) ai fini della configurabilità della responsabilità da reato è sufficiente la prova dell’avvenuto conseguimento di un vantaggio ex art. 5 cit. da parte dell’ente, anche quando non sia possibile determinare l’effettivo interesse da esso vantato ex ante rispetto alla consumazione dell’illecito, purché il reato non sia stato commesso nell’esclusivo interesse del suo autore persona fisica o di terzi (Sez. 6, n. 15543 del 19/01/2021, 2L Ecologia servizi s.r.I., Rv. 281052)».

Tant’è che «in presenza, ad es. di una declaratoria di prescrizione del reato presupposto, il giudice deve procedere all’accertamento autonomo della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l’illecito fu commesso», non prescindendo dalla verifica – quantomeno incidentale – della sussistenza del fatto di reato.

Il deposito controllato o temporaneo. La Cassazione precisa inoltre che, in tema di gestione dei rifiuti, per “deposito controllato o temporaneo” si intende ogni raggruppamento di rifiuti, effettuato prima della raccolta, nel luogo in cui sono stati prodotti, nel rispetto delle condizioni dettate dall’art. 183 del D. Lgs. n. 152/2006. Pertanto, in difetto anche di uno solo dei requisiti normativi, il deposito non può ritenersi temporaneo, ma deve essere qualificato, a seconda dei casi, come: “deposito preliminare”, se il collocamento di rifiuti è prodromico a un’operazione di smaltimento; “messa in riserva”, se il materiale è in attesa di un’operazione di recupero; “abbandono”, quando i rifiuti non sono destinati a operazioni di smaltimento o recupero; o, infine come “discarica abusiva”, nell’ipotesi di abbandono reiterato nel tempo e rilevante in termini spaziali e quantitativi.

L'arretramento della soglia di responsabilità del committente. Seguendo l’interpretazione proposta nella sentenza in esame, in capo alla società e all’imprenditore che affidano a un altro operatore economico lavori edili, pulizie industriali, manutenzione di macchinari complessi, ecc., ovvero lo smaltimento di rifiuti, graverebbero una serie di obblighi di vigilanza e intervento sull’operato della ditta incaricata. Si tratterebbe di un onere “di attivarsi”, non solo per le preventive richieste di certificazioni, curriculum professionale, autorizzazioni ambientali, ecc., ma anche nel monitoraggio in concreto, al fine di evitare un concorso di natura omissiva.

Di conseguenza, se il committente concede lavori in appalto e non interferisce con l’attività dell’appaltatore, ma quest’ultimo commette irregolarità sul piano ambientale, può essere chiamato a rispondere a titolo di concorso omissivo, proprio per non aver vigilato né essere intervenuto attivamente. Qualora, invece, il committente provveda a monitorare l’attività dell’appaltatore ovvero fornisca indicazioni operative – quindi con un’ingerenza rilevante – e l’esecutore ponga in essere un reato ambientale, allora potrebbe essere chiamato a rispondere a titolo di concorso diretto.

Una prospettiva in definitiva poco rassicurante, frutto della tendenza a “oggettivizzare” la responsabilità dell’imprenditore, in qualche modo ritenuto, in quanto operatore economico-professionale, sempre “colpevole” di non aver adottato sufficienti precauzioni, anche con riferimento ad attività rispetto alle quali può non avere alcuna competenza professionale (come lo smaltimento dei rifiuti prodotti). La soglia di responsabilità penale del committente viene sempre più arretrata, fino a coincidere sostanzialmente con quella propria dell’impresa che, concretamente, svolge le operazioni da cui scaturisce la produzione di rifiuti.

 

Cass. Pen., Sez. IV, sent. n. 38363 del 9 agosto 2018, Consorzio Melinda s.c.a., Rv. 274320 – 03.

G.R.A.L.E.

Via Mazzocchi, 68
Palazzo Melzi
81055 Santa Maria Capua Vetere (CE)

C.so Umberto I, 34
80138 Napoli

 

Iscriviti alla Newsletter
Ricevi i nostri aggiornamenti
Iscriviti tramite Facebook
... oppure inserisci i tuoi dati:
L'indirizzo al quale desideri ricevere le newsletter.
Acconsento al trattamento dei miei dati personali (Regolamento 2016/679 - GDPR e d.lgs. n.196 del 30/6/2003)  Privacy